Nel suo saggio "L'umorismo" Pirandello ci spiega la differenza tra «comicità', ironia e umorismo». Il comico e l'ironia generano o sono generati da situazioni di una chiarezza assoluta; il comico, definito come "avvertimento del contrario", nasce dal contrasto tra l'apparenza e la realtà. L'umorismo nasce invece quando in un'opera accanto al sentimento, che organizza idee e immagini in una forma armoniosa, resta attiva la riflessione, che ne prende coscienza, la critica, la scompone, la analizza. L'umorismo e' perciò' quel processo della riflessione critica che consente di analizzare e di comprendere ciò che si nasconde dietro un fatto o un atteggiamento a prima vista comico.
In questo saggio Pirandello si definisce come uno scrittore umorista, e definisce l’umorismo come il “sentimento del contrario”, spiegando che esso implica la compresenza di sentimento e riflessione. Generalmente, quando l’artista crea, la riflessione è assente, ed egli si lascia guidare dal sentimento; ma nell’opera umoristica la riflessione si para davanti al sentimento, lo giudica e lo scompone.
Scrive Pirandello che gli uomini tendono a camuffarsi, a indossare delle «maschere», per apparire diversi e migliori di quello che sono: lo scrittore umorista riflette, giudica queste «maschere», questi atteggiamenti, e le strappa dal volto dei suoi personaggi, compatendoli. Pirandello stesso fornisce l’esempio illuminante della vecchia signora che si abbiglia e si trucca come una ragazza, suscitando ilarità. Questa prima reazione viene definita “l’avvertimento del contrario” ed è ciò che dà vita al comico. Lo scrittore umorista, invece, fa intervenire la riflessione, e allora pensa che quella signora si abbiglia e si trucca in quel modo perché forse ha un marito giovane e teme di perderlo se non sembra giovane anche lei; la vecchia signora è consapevole di essere ridicola, e soffre della situazione: ecco il “sentimento del contrario”, per cui si può affermare che l’umorismo di Pirandello può muovere, sì, al riso, ma si tratta di un riso amaro, pieno di pena, compatimento, sofferenza.
Quindi, mentre il comico genera quasi immediatamente la risata perché mostra subito la situazione evidentemente contraria a quella che dovrebbe normalmente essere, l'umorismo nasce da una più ponderata riflessione che genera una sorta di compassione da cui si origina un sorriso di comprensione. Nell'umorismo c'è il senso di un comune sentimento della fragilità umana da cui nasce un compatimento per le debolezze altrui che sono anche le proprie. L'umorismo è meno spietato del comico che giudica in maniera immediata.
- Comicità; capacità di provocare il riso, implicita in una situazione fortuita o combinata, relativa alla "commedia", sul piano della creazione o dell’interpretazione scenica.
- Ironia; alterazione spesso paradossale di un riferimento, allo scopo di sottolineare la realtà di un fatto mediante l’apparente dissimulazione della sua vera natura o entità, per esempio attraverso diverse gradazioni o qualità di riso: fare dell’ironia, parlare con ironia. Secondo la tradizione, il procedere speculativo del celebre filosofo “Socrate” , che, dichiarandosi ignorante, chiede lume (consiglio, schiarimento che aiuti a intendere, a sciogliere dubbi) all’altrui sapienza, per mostrare come quest’ultima si chiarisca in effetti come inferiore al suo stesso sapere di non sapere (ironia socratica).
- Umorismo; capacità di rilevare e rappresentare il ridicolo delle cose, in quanto non implichi una posizione ostile o puramente divertita, ma l’intervento di un’intelligenza arguta e pensosa e di una profonda e spesso indulgente simpatia umana.
Dal contrasto tra la «vita e la forma» nasce il "relativismo psicologico" che si esprime in due sensi: orizzontale, ovvero nel rapporto interpersonale, e verticale, ovvero nel rapporto che una persona ha con se stessa. Gli uomini nascono liberi ma il «Caso» interviene nella loro vita precludendo ogni loro scelta: l'uomo nasce in una società precostituita dove ad ognuno viene assegnata una parte secondo la quale deve comportarsi. Ciascuno è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la società impone, anche se l'io vorrebbe manifestarsi in modo diverso: solo per l'intervento del «Caso» può accadere di liberarsi di una «forma» per assumerne un'altra, dalla quale non sarà più possibile liberarsi per tornare indietro, come accade al protagonista de "Il fu Mattia Pascal". L'uomo dunque non può capire né gli altri né tanto meno se stesso, poiché ognuno vive portando - consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente - una «maschera» dietro la quale si agita una moltitudine di personalità diverse e inconoscibili. Queste riflessioni trovano la più esplicita manifestazione narrativa nel romanzo "Uno, nessuno e centomila":
- Uno perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche particolari;
- Centomila perché l'uomo ha, dietro la «maschera», tante personalità quante sono le persone che ci giudicano;
- Nessuno perché, paradossalmente, se l'uomo ha 100.000 personalità invero non ne possiede nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi nel suo vero "io".
I personaggi dei drammi pirandelliani, come il “Vitangelo Moscarda” del romanzo "Uno, nessuno e centomila" e i protagonisti della commedia "Sei personaggi in cerca di autore", di conseguenza avvertono un sentimento di estraneità dalla vita che li fanno sentire «forestieri della vita», nonostante la continua ricerca di un senso dell'esistenza e di un'identificazione di un proprio ruolo, che vada oltre la «maschera», o le diverse e innumerevoli maschere, con cui si presentano al cospetto della società o delle persone più vicine.
L'uomo accetta la «maschera», che lui stesso ha messo o con cui gli altri tendono a identificarlo. Ha provato sommessamente a mostrarsi per quello che lui crede di essere ma, incapace di ribellarsi o deluso dopo l'esperienza di vedersi attribuita una nuova maschera, si rassegna. Vive nell'infelicità, con la coscienza della frattura tra la vita che vorrebbe vivere e quella che gli altri gli fanno vivere per come essi lo vedono. Accetta alla fine passivamente il ruolo da recitare che gli si attribuisce sulla scena dell'esistenza. Questa è la reazione tipica delle persone più deboli come si può vedere nel romanzo "Il fu Mattia Pascal".
Il soggetto non si rassegna alla sua «maschera» però accetta il suo ruolo con un atteggiamento ironico, aggressivo o umoristico. L'uomo, accortosi del relativismo, si renderà conto che l'immagine che aveva sempre avuto di sé non corrisponde in realtà a quella che gli altri avevano di lui e cercherà in ogni modo di carpire questo lato inaccessibile del suo io. Vuole togliersi la «maschera» che gli è stata imposta e reagisce con disperazione. Non riesce a strapparsela ed allora se è così che lo vuole il mondo, egli sarà quello che gli altri credono di vedere in lui e non si fermerà nel mantenere questo suo atteggiamento sino alle ultime e drammatiche conseguenze. Si chiuderà in una solitudine disperata che lo porta al dramma, alla pazzia o al suicidio. Da tale sforzo verso un obiettivo irraggiungibile nascerà la voluta «follia». La «follia» è infatti in Pirandello lo strumento di contestazione per eccellenza delle forme fasulle della vita sociale, l'arma che fa esplodere convenzioni e rituali, riducendoli all'assurdo e rivelandone l'inconsistenza.
Solo e unico modo per vivere, per trovare il proprio io, è quello di accettare il fatto di non avere un'identità, ma solo centomila frammenti (e quindi di non essere "uno" ma "nessuno"), accettare l'alienazione completa da se stessi. Tuttavia la società non accetta il relativismo, e chi lo fa viene ritenuto pazzo. Esemplari sono i personaggi dei drammi "Enrico IV", dei "Sei personaggi in cerca d'autore", o di "Uno, nessuno e centomila".
simpatico, grazie
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