sabato 19 luglio 2014

LA MELA E IL SERPENTE (LE RADICI DELLA COLPA)


Se l'uomo non si libera dalla colpa originaria, cercherà invano il rimedio dei mali come la fame, la guerra. Non si vive senza mangiare , e la fame spinge alla guerra. Dopo il Socialismo reale, oggi è l'Islam a voler guidare e interpretare la fame del mondo. Ma anche per l'Islam la nostra vita incomincia con la colpa di Adamo: egli mangia la «Mela» che può farlo diventare «Dio». Se questo cibo ha tanta «Potenza», l'uomo, mangiandolo, vuole mangiare «Dio», identificarsi alla «Potenza» suprema. I gesti più indispensabili alla vita , come il cibarsi , sono quindi sentiti come gli errori più profondi; la vita stessa è deviazione, colpa. 
Anche per Eraclito la vera morte è nascere. L'uomo religioso crede che liquidi, vegetali, animali, corpi del nemico ucciso contengano forze superiori, divine e che dunque, mangiandoli e bevendoli, egli possa immedesimarsi con la «Potenza» suprema del «Dio». Il cibo nutre solo se è sacro. Da noi è diventato routine alimentare e ci si rifiuta di credere che bere e mangiare possano essere una colpa. Ma si continua a crederlo nelle patologie alimentari. Ed è vistosa la permanenza del passato nel rito cattolico dell'«Eucarestia», dove viene mangiato e bevuto il corpo e il sangue di «Dio». 
E comunque il «Senso» originario del mangiare «Dio» permane nella volontà dell'uomo di appropriarsi della «Potenza» suprema del «Nuovo Dio», la «Tecnica» (vedi pubbl. Genn. e Febbr. 2014). L' uomo incomincia a vivere quando vuole diventare qualcosa di diverso da ciò che egli crede di essere. Affamato, debole, atterrito, vuol essere altro, cioè le potenze che lo fanno diventare altro , sazio, forte, felice. 
L' esperienza religiosa si rivolge appunto alle forme originarie di questa volontà: mangiare, bere, uccidere ciò che si mangia e si beve, unirsi sessualmente. Quando si uccide non si vuole soltanto un vuoto , l'assenza dell' ucciso, ma si vuole occupare il vuoto ottenuto, incorporando le forze che lo riempivano. «Mangiare» è «Uccidere»; «Uccidere» è «Mangiare». Anche l' «Unione sessuale», come il «Mangiare e l' Uccidere», è un voler diventar l'altro a cui ci si congiunge ed essere uno con esso . Non si vive senza «Mangiare», «Uccidere», «Unirsi sessualmente». Poi, anche il sapere verrà inteso come incorporamento (sapere, sapore). 
Le religioni vedono la colpevolezza del vivere, ma la rinviano a un tempo che precede la vita. In quel tempo il «Dio» viene ucciso, o si tenta di ucciderlo, e tuttavia l' uccisione del «Dio» genera il mondo. Le parti del mondo sono ad esempio le membra della dea Tiamat. Nel Cristianesimo, dopo il tentativo fallito di Adamo, è il Verbo stesso di «Dio» che vuol morire in croce, generando il nuovo mondo redento dal peccato. Perché il «Dio» possa esser mangiato non è forse necessario che innanzitutto sia ucciso, smembrato, reso cibo? 
La vita è colpa perché presuppone l' uccisione del «Dio». Al di là di ogni esperienza religiosa, si fa innanzi qualcosa di essenzialmente più radicale intorno al «Senso» autentico della colpa del vivere: così radicale da lasciarsi alle spalle le nostre convinzioni più profonde, e innanzitutto la più profonda e radicata di tutte: che le «Cose» del mondo siano , come si diceva , un diventar altro, e che noi viviamo perché vogliamo diventar altro da ciò che siamo e vogliamo far diventar altro le «Cose» e gli umani. Si fa innanzi, infatti, il pensiero inaudito e spaesante che la colpa autentica del vivere è proprio il volere (presente anche nell'amore più tenero) che qualcosa divenga altro da ciò che essa è. 
Mangiare, Uccidere, Unirsi con l'amore dei sessi è colpa perché in ognuno di questi gesti è presente il voler diventare e far diventare altro le «Cose», ossia è presente la stessa condizione fondamentale del vivere. Il pensiero inaudito e spaesante dice questo: se si crede che qualcosa diventi altro , ad esempio che l'uomo diventi cenere (o Dio) , allora si crede che egli, diventato altro da sé, è altro da sé, è altro da ciò che esso è. Se è lui, e non un'altra «Cosa», a diventare altro da sé, è cioè necessario che egli, restando se stesso, sia insieme ciò che egli non è; che restando uomo sia, insieme cenere (o Dio). 
E credere in tutto questo non è forse la «Follia» estrema, la «Colpa» in cui per altro ci si trova in ogni momento della vita? Così, il pensiero inaudito vede la «Colpa» e la «Follia» in ciò che per i mortali è l' «Evidenza Suprema». Tale pensiero si fa udire nel fondo di ciascuno di essi anche se altre voci riempiono le loro orecchie. Si cerca invano il rimedio dei mali, se il «Senso» autentico della «Follia» e della «Colpa» non viene alla luce. 
Interpretare il mondo significa avvolgere i fatti in significati che è l'uomo a conferir loro. Sin dall' inizio l'uomo interpreta e nascita e morte, unione dei sessi, fame e sete, cibo, guerra, pace, sogni. Prime grandi interpretazioni del mondo, i miti e le religioni dove il cibo e le bevande stanno al centro della scena. Quando l'uomo arcaico mangia e beve soddisfa certo un bisogno, prova piacere. Ma interpreta il piacere come effetto della «Potenza» elargitagli dal carattere divino di cibo e bevanda. Dunque, per salvare il mondo e l'uomo il Dio deve diventare cibo. Ma per diventare cibo deve essere smembrato e sacrificato. Anche la Bibbia e la religione greca evocano una situazione analoga. Ma attraverso un percorso che prevede il fallimento del tentativo dell'uomo di cibarsi di Dio. 
Nel libro della Genesi il «Serpente» dice: «se mangerete il frutto dell'albero del bene e del male, non solo non morirete, come invece Dio vi dice , ma vi si apriranno gli occhi, e sarete come dèi». Se mangiare la mela è diventare come dèi , la mela è anche qui il divino, il Dio. Per acquistare «Potenza» bisogna impadronirsi della «Potenza» del Dio; e diventare come dèi significa uccidere Dio. Agli inizi, l' uomo biblico mangia decidendo di uccidere Dio per ereditarne la «Potenza». Si può pensare che il testo biblico porti alla luce la «Violenza» che si nasconde al fondo della «Volontà» di mangiare il cibo divino. Ma il tentativo fallisce, questo Dio non si lascia mangiare ed uccidere e caccia Adamo dal Paradiso terrestre. Per il «Cristianesimo» l'uomo deve rapportarsi a Dio liberandosi dalla «Volontà» luciferina di distruggerlo e sostituirvisi . Solo in questo modo il sacrificio di Cristo non appare come qualcosa di empio. Sarete come dèi , dice il «Serpente». Sarai come uomo, dice il Padre al Figlio unigenito. E ancora una volta la «Salvezza» dell'uomo e del mondo richiede lo smembramento del Cristo e il suo diventare cibo, come appunto accade nell' «Eucarestia». L' uomo diventa come Dio perché è Cristo a volere che lo diventi. Quel che era «Empio» come iniziativa umana diventa «Santo» come iniziativa divina. 
Anche la religiosità Greca evoca un tentativo fallito dell'uomo di identificarsi a Dio, che poi si risolve nell'iniziativa del Dio Dioniso di identificarsi all'uomo. Per Omero, Erodoto e la grande lirica greca l'uomo è ombra di un sogno , effimero, incapace di avvicinarsi agli Dèi: meglio per lui se non fosse mai nato. Prometeo tenta di sottrarre agli Dèi la «Potenza» del fuoco per donarla ai mortali, ma anche il suo tentativo fallisce, come quello di Adamo. Dioniso è invece una divinità sostanzialmente estranea all'Olimpo greco. Generato da Semele donna mortale, dice Esiodo, è fatto a pezzi dai Titani, che lo divorano. Ma Dioniso risorge. Le baccanti, sue sacerdotesse, sovvertono ogni ordine della natura e del consorzio umano e divino, dilaniano e divorano animali ed esseri umani, perché nelle carni crude è presente il Dio che muore e risorge, e fa continuamente morire e risorgere chi si unisce a lui. Ciò che è «Empio» in Adamo e Prometeo, diviene «Santo» in Dioniso che si sacrifica e si dona agli uomini. Come Cristo. 
Siamo così lontani, oggi, da queste interpretazioni del mondo? Si crede di sì, ma è per essere «Potente» che l'uomo vuole diventare Dio e lo uccide e lo mangia. Per essere «Potente» l'uomo deve voler diventare altro da quello che egli è. E, per volerlo, egli deve credere che il «divenir altro» non solo sia possibile, ma stia sotto gli occhi di tutti. Non si riuscirà mai a cogliere il «Senso» autentico della «Potenza» e della «Violenza», se non si guarderà in faccia e non si metterà in questione questa apparente astrattezza del «divenir altro» che per altro sin dall'inizio si incarna nell'assoluta concretezza dell'unione dei sessi, del mangiare e del bere, del nascere, morire, uccidere. Per l'uomo arcaico il piacere di mangiare è «Potenza divina» .

mercoledì 16 luglio 2014

SULLA TERRA OGNI CONOSCENZA E' FEDE

Ormai sulla terra ogni conoscenza è diventata una «Fede»; anche ogni conoscenza che guida la «Volontà», e che guida pertanto anche la «Volontà di Pace». Una «Fede» più o meno complessa, coerente, potente, consapevole di sé, ma pur sempre una «Fede». Anche la scienza moderna è «Fede». Tuttavia il «Senso» di ciò che viene chiamato «Fede» si mostra solo in relazione al «Senso» della «Non-Fede», cioè al «Senso» portato alla luce dalla Filosofia, in Grecia. La Filosofia si rivolge a ciò che si mostra in modo così pieno e ineludibile da non poter esser negato , da non poter essere altrimenti, dice Aristotele. 

Dio è il contenuto centrale di ciò che si mostra all'interno dell' «Epistéme della Verità». Tutto ciò che non si mostra nell' «Epistéme della Verità» può essere altrimenti, è controvertibile, lo si afferma perché si vuole che ad esso competa ciò che di esso si afferma. Tutto il resto è, appunto, «Fede», «Mito». In quanto sapere ipotetico, anche la Scienza è «Fede» e «Mito». La «Volontà» stessa, in quanto tale, è «Fede»: innanzitutto è «Fede» di ottenere ciò che essa vuole. 
Ormai sulla terra ogni «Volontà» , anche la «Volontà di Pace» , è guidata dalle contrapposte forme della «Fede» e del «Mito». L' «Epistéme della Verità» è tramontata. Dato il modo in cui ha compiuto il suo primo passo, il suo tramonto è inevitabile. Il grande problema da affrontare è che volere la «Pace» facendosi guidare dalla «Fede» significa volere la «Pace» collocandosi nella dimensione della «Guerra». (Vedi Pubbl. Dicembre 2013 Religioni e Pace nel Mondo). Ogni «Fede» vuole che il mondo abbia un «Senso» piuttosto che un altro e quindi ogni «Fede» si trova essenzialmente in contrasto con le altre forme di «Fede», che invece vogliono che il mondo abbia un «Senso» diverso. Dialogando tra loro, o le Fedi rinunciano a se stesse in favore di una «Fede» prevaricante, oppure non effettuano questa rinuncia, ma allora è inevitabile che alla fine si scontrino non solo sul piano del dialogo, ma anche su quello dell' agire effettivo dei popoli e che alla fine prevalga la «Fede» più potente
Relativamente alla «Ragione», Cristianesimo e Islam sono in apparenza molto divergenti; ma al di là delle apparenze e delle loro intenzioni esplicite essi sono sostanzialmente solidali (anche se la cristianità si è allontanata ben di più dell'islam reale, storico, dalla brutalità del mondo arcaico). 
Ma non è forse del tutto esplicita la sentenza di Gesù, su quel che si deve a Cesare e a Dio? Non è forse, questa sentenza, la prova più evidente dell'autonomia che la Chiesa riconosce a Cesare, cioè allo «Stato», e, da ultimo, alla «Ragione»?(Vedi Pubbl. marzo 2013 Fede e Politica, Fede e Ragione) Indubbiamente, Gesù conduce la coscienza religiosa in una dimensione dove l'islam si rifiuta di entrare. Per l'islam è quel che è di Dio, ossia è la legge di Dio, ad avere il diritto di configurare la struttura e le leggi dello «Stato» e della «Ragione»: date a Cesare quel che è di Dio; rendete Dio padrone di Cesare. 
Ma chiediamoci ancora una volta: quando Gesù afferma di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, pensa forse che a Cesare si possa dare qualcosa che sia contro Dio? Certamente No! 
La Chiesa cattolica infatti rifiuta quella «Libertà» senza «Verità» (cioè senza Verità cristiana) che caratterizza la Democrazia semplicemente procedurale del nostro tempo. Ma allora Gesù e la Chiesa pensano che Cesare debba essere «Cristiano» e cioè che le leggi dello «Stato» debbano essere cristiane. E poiché non possono esistere leggi dello «Stato» la violazione delle quali non implichi una sanzione, ne viene che la violazione delle leggi cristiane dello «Stato» richiede una sanzione terrena, ossia già qui sulla terra, prima ancora che nell'aldilà. 
La teoria, sostanzialmente comune ad Avicenna e a Tommaso, che una Filosofia che smentisca la «Fede» è una falsa Filosofia è la traduzione, sul più ampio piano della «Ragione», del modo in cui, per Gesù, ci si deve porre in rapporto a Cesare e a Dio. Infatti, se a Cesare non si deve dare quel che è contro Dio, allora, quando Cesare è contro Dio, esso è un Cesare falso, uno «Stato» che è in contrasto col vero «Stato»: è un Cesare falso, così come una Filosofia che sia in contrasto con la «Rivelazione» è una falsa Filosofia. Anche alla Filosofia si deve dare quel che è della Filosofia e alla «Fede» quel che è della «Fede» , purché alla Filosofia non si dia quel che è contro la «Fede» (o che è indifferente alla «Fede»). 
Anche la Filosofia, e in generale la «Ragione», come lo Stato, deve essere Filosofia cristiana, o islamica; «Ragione» cristiana, o islamica. Cristianesimo e Islam non sono dunque semplicemente due forme diverse e contrastanti di civiltà (non danno luogo a uno «scontro di civiltà»), ma affondano le loro radici nello stesso terreno, cioè appartengono entrambi al grande passato dell' Occidente, cioè della stessa civiltà. Cristianesimo e Islam sono certamente in «contrasto»; ma questo loro «contrasto» è la superficie di un «contrasto» radicalmente più profondo, dove Cristianesimo e Islam stanno dalla stessa parte, si trovano a combattere il comune nemico mortale, cioè l' Europa moderna, sebbene, a un livello ancora più profondo, un' intima mano unisca l' Europa moderna al Cristianesimo e all'Islam. 



giovedì 10 luglio 2014

LA FEDE, LE LEGGI, I PECCATORI


Esistono forze , si crede , capaci di trasformare il mondo. Ognuna tende a rafforzare se stessa e indebolire le altre. Il Cristianesimo è una di esse; e la Chiesa cattolica è la forma attuale più imponente del Cristianesimo. La lotta della Chiesa contro Aborto, Divorzio, Fecondazione artificiale si sviluppa appunto all'interno di quello scontro di forze. La Chiesa sta dicendo che quelle misure indeboliscono la «famiglia naturale» voluta da Dio. Si tratta allora di rafforzare la «famiglia naturale» e quindi di indebolire ogni convivenza «innaturale». La Chiesa distingue l'individuo umano dal modo in cui egli pensa. Ma per la Chiesa i diversi contenuti della «Fede Cristiana», uno dei quali è appunto la «famiglia naturale» , sono rafforzati da un'abbondante presenza di cristiani, così come il «Fuoco» è rafforzato da un' abbondante presenza di legna. Si tratta quindi di rendere più abbondante la presenza dei cristiani e sempre più esigua quella dei non cristiani. Un compito arduo (al quale tuttavia essa non può rinunciare) in un tempo in cui, la Chiesa sa bene, i cristiani sono sempre di meno. 
Poiché la Chiesa distingue l'individuo dal modo in cui egli pensa, la volontà di ridurre i non cristiani non si esprime più come volontà di annientarli come individui, ma come volontà di annientare i loro errori. Si odia e si combatte il «Peccato», non il «Peccatore». Va detto però che come l' esistenza del Cristiano rafforza, per la Chiesa, la «Fede Cristiana», così l' esistenza del «Peccatore», cioè di quell'individuo che è il «Peccatore», rafforza il «Peccato». Non riconoscerlo è incoerenza o malafede
Pertanto, per rafforzare la «Fede» e i cristiani, si dovranno sì annientare i «Peccati», ma si dovranno anche indebolire i «Peccatori», la cui esistenza rafforza l' esistenza del «Peccato» come coloro che mettono acqua sulla legna spengono il fuoco e fanno fumo. Difficile, però, stabilire il limite oltre il quale, indebolendo il «Peccato», si manda all'altro mondo anche il «Peccatore». I rapporti tra Chiesa e democrazie moderne sono difficili, perché altra strada, per indebolire il «Peccatore» di cui la Chiesa intende per altro rispettare la vita, la Chiesa non ha se non quella di rendergli la vita difficile: impedendogli di diffondere il proprio modo di pensare e realizzare istituzioni in cui esso si rifletta (si pensi alla scuola pubblica in quanto «laica», e agli interventi medici condannati dalla dottrina cattolica); e impedendogli di avere peso politico e di disporre di finanziamenti che rendano possibile tutto questo. Se la Chiesa non lo facesse sarebbe incoerente. Si tratta, appunto, di indebolire il più possibile il «Peccato» e il «Peccatore». Che a loro volta non intendono farsi togliere di mezzo e reagiscono. 
La Democrazia moderna è anch'essa contenuto di una «Fede», che però rende possibili, senza renderle obbligatorie, «Leggi» che in determinati ambiti, rispettando la Costituzione, consentono a ciascuno di vivere come vuole. 
La Chiesa, invece, sollecita «Leggi» che, in quegli ambiti, impongano a tutti di vivere secondo i dettami della «Fede Cristiana». È una fola che la Chiesa non debba ingerirsi nella vita dello Stato, ed è democratico l' atteggiamento di parlamentari che votano in un certo modo perché vogliono obbedire alla Chiesa, e che se hanno la maggioranza fanno diventare legge dello Stato le loro convinzioni. Rimane però la differenza, la maggiore democraticità della «Fede Democratica», rispetto alla «Fede Cristiana». (Lo si dice spesso, ma è un discorso che ha forza solo dopo che si sia riconosciuta la legittimità di «Leggi» volute da una maggioranza cattolica). 
La Democrazia non chiude infatti la porta a «Leggi» che, non contrarie alla Costituzione, in certi campi lascino ognuno libero di vivere come vuole: non chiude loro la porta, senza tuttavia imporle, perché non la chiude nemmeno a «Leggi» che, come quelle cattoliche, impongono invece anche ai non credenti, in quei campi, di vivere come essa crede sia giusto vivere.




giovedì 3 luglio 2014

LA CROCE E L'AGONIA


Dio, facendosi uomo, «Ha accettato liberamente la sofferenza. Avrebbe potuto non farlo» (Giovanni Paolo II ,Varcare la soglia della speranza, 1994 Mondadori, cap. 11). Tale «Libertà» non può significare altro che questo: Dio avrebbe mantenuto tutta l' infinita perfezione che gli compete, anche se non avesse accettato la sofferenza e non si fosse fatto uomo. Incarnandosi, Dio non diventa qualcosa di più di ciò che sarebbe se avesse rifiutato la sofferenza. Se, incarnandosi e soffrendo, Dio raggiungesse una perfezione maggiore di quella che avrebbe rimanendo nella sua pura felicità senza dolore, il suo farsi uomo e soffrire non sarebbe «Libero», ma «Necessario», perché sarebbe necessariamente richiesto dalla sua perfezione. Il perfetto non sarebbe potuto rimanere meno perfetto. 

Ma subito dopo il pontefice : «Se fosse mancata quell’ agonia sulla croce, la verità che Dio e' Amore sarebbe sospesa nel vuoto», cioè cadrebbe. Tuttavia, se Dio e' «Amore» perché muore sulla croce, certamente non sarebbe «Amore» se non si fosse fatto crocifiggere, ma non per questo sarebbe stato meno perfetto e meno divino. 

E' vero che il dolore dell' uomo, creato da un Dio non sofferente, sarebbe meno comprensibile; ma e' al prezzo di una profonda ambiguità e, in sostanza, di una irrimediabile contraddizione , che il Cristianesimo e' riuscito a far sembrare più comprensibile la sofferenza dell'uomo. Se anche Dio soffre, l' uomo può forse sopportare meglio il dolore; ma la sopportazione cristiana include la convinzione che un Dio «Amore» e' di più , e' più alto e perfetto, più divino di un Dio che allontana da sé il calice della sofferenza. 

Ma, in questo modo, Dio non e' più «Libero» di non patire, perché non e' «Libero» di essere meno perfetto e cioè di non essere Dio. L' ambiguità e la contraddizione della tradizione cristiana , giacché e' a tale tradizione che esse competono, e non soltanto a quella pagina di Giovanni Paolo II, consistono nel fatto che, da un lato, l' «Amore» di Dio e' ciò in cui culmina la perfezione e la divinità di Dio; e dall'altro lato, poiché Dio e' «Libero», se quell' «Amore» fosse stato assente e fosse mancata l' «Agonia sulla Croce», Dio non sarebbe stato meno perfetto e divino. 

Tuttavia, nell' esperienza cristiana dell' «Incarnazione del Verbo» trapela qualcosa di essenzialmente più profondo. Noi siamo abituati a pensare che la conoscenza che abbiamo del dolore e della felicità altrui ci consente di restarne in qualche modo al di fuori. Ma noi non restiamo coinvolti nel dolore e nel piacere altrui (o vi restiamo coinvolti solo entro quei limiti, oltrepassando i quali diremmo che non si tratta più di un dolore altrui, ma nostro), nella misura in cui restiamo nell' ignoranza relativamente a ciò che gli altri provano. 

Noi vediamo sempre dall'esterno ciò che gli altri provano. Meno restiamo coinvolti dalle loro esperienze, più ignoriamo ciò che essi sono. Più la loro sofferenza e il loro piacere ci si manifestano, più conosciamo il loro essere, e quel che essi provano coincide con quello che noi proviamo. 

Ma per il pensiero cristiano Dio e' «Onnisciente». Non vi e' nulla che si sottragga alla «Luce» della conoscenza assoluta che trascende la coscienza finita dell' uomo. Tutto e' in «Luce», tutto si manifesta. Come dice l' apostolo, «Non vi e' alcuna creatura che rimanga invisibile di fronte a lui: tutte le cose sono nude e aperte di fronte ai suoi occhi» (Non est ulla creatura invisibilis in cospectu eius: omnia nuda et aperta sunt oculis eius, Ad hebr. 4, 13). Tutte! Dunque anche tutti i dolori e i piaceri del mondo, e i passati e i futuri non meno dei presenti; e tutto il male e l'angoscia e la felicità delle anime e dei corpi. 

Ma può lo sguardo «Onnisciente» di Dio contemplare il dolore e il piacere del mondo nel modo in cui noi conosciamo ciò che provano gli altri, e cioè dall'esterno? Se così fosse, gli occhi di Dio sarebbero quasi accecati, non sarebbero lo sguardo dell' «Onnisciente» e le «Cose» non starebbero nude ed aperte di fronte ad essi. Se questi occhi vedessero «Dall'alto» , quasi in un concentrato di «Luce» , il dolore, il male e la morte, non avrebbero dinanzi il modo singolare e concreto in cui l'uomo soffre e gode. E se lo avessero dinanzi in concreto, nella sua irripetibile singolarità , in carne ed ossa, non lo vedrebbero «Dall'alto» e in quel modo eminente e generico col quale un re, assiso su un trono di felicità , si illude di scorgere le sofferenze e i godimenti dei sudditi. 
Uno sguardo «Onniveggente» e «Onnisciente» di tutti i patimenti e di tutti i piaceri del mondo deve dunque averli dinanzi proprio così come essi stanno dinanzi alla coscienza di chi li sta provando e patendo. Deve cioè essersi da sempre incarnato in essi, che gli stanno dinanzi in carne ed ossa. Non provare i dolori e i piaceri del mondo significa, da ultimo, ignorarli. E lo sguardo «Onnisciente» di Dio non può ignorare alcunché . 

Dio «Si Fa Uomo» non per una libera e fantastica scelta con cui egli accetterebbe la sofferenza per salvare gli uomini, ma perché la «Luce del Tutto», nella quale in verità consiste la sguardo «Onnisciente», e' nella propria «Essenza» «Già da sempre» coinvolta nella «Carne», e può essere pura «Luce» infinita solo in quanto, da sempre, e' «Carne», cioè prova da sempre tutti i patimenti e i piaceri della «Carne» (e anche tutto ciò che sta al di sopra di essi). Il «Verbo» non si fa «Carne», uscendo dalla purezza immacolata dello «Spirito»: per la sua stessa essenza il «Verbo», cioè la «Luce», la manifestazione dell' «Essere» e' «Già da sempre» presso la «Carne». A tutto questo fa cenno, da lontano, il Cristianesimo. Tutto questo si deve incominciare a pensare, al di fuori delle categorie che dominano il Cristianesimo e la nostra civiltà .