giovedì 26 giugno 2014

ESPIAZIONE E COLPA: IL MISTERO



In questo concetto si può esprimere il Pensiero Centrale del Cristianesimo , cioè , Il «Sacrificio» col quale Cristo, innocente, salva gli uomini dalle conseguenze della «Colpa». Nel «De Trinitate» Agostino scrive (13,16,21) che Cristo «Ha sofferto una morte temporale, che non meritava, per liberare gli uomini da una Morte Eterna che meritavano», la «Morte Eterna della Dannazione». 
Il Cristianesimo richiede non solo che la giustizia divina sia accompagnata dal pentimento del colpevole, ma anche che l'innocente che paga il debito ami il debitore, ne sia l'amico. Con l' «Amore», l'innocente che paga il debito e il debitore colpevole diventano infatti una sola cosa (Amicitia ex duobus facit unum, dice Tommaso, che su questo tema così cristiano sente il bisogno di rifarsi a Aristotele). Per questa unificazione accade che sia il debitore stesso, nonostante la sua impotenza, a pagare il debito, con l'aiuto e le forze del suo amico. Eppure, dal punto di vista stesso del Cristianesimo, non sembra che in questo modo le condizioni della giustizia divina siano rispettate. 
La difficoltà e' indicata dallo stesso passo del «DeTrinitate» di Agostino che sopra abbiamo richiamato: Cristo ha sofferto una morte temporale che non meritava , cioè la «Morte del Corpo», seguita dalla «Resurrezione» , per liberare gli uomini da una «Morte Eterna», cioè dalla «Dannazione» che essi meritavano. In questo modo, Cristo muore troppo poco: muore una morte temporale per «riscattare una pena e una morte eterne». 
L' uomo pecca, ed e' condannato alla «Morte Eterna»: fin qui la giustizia divina e' soddisfatta. Ma Dio «Ama l' uomo» e non vuole che egli sia «Dannato». Tuttavia Dio non può nemmeno abdicare alla propria giustizia: affinché l' uomo sia salvo, bisogna che qualcun altro, un amico dell'uomo, patisca la pena dovuta. Il «Figlio di Dio» dice al Padre: Io sono pronto a patire quella pena. Ma quella pena e' la «Morte e la Dannazione Eterna». 
E vero che, per salvare l'uomo, Cristo non può decidere di diventare lui l' «Eterno Dannato»; ma rifiutando di dannarsi eternamente egli non restituisce tutto al derubato, perpetua la rapina e distrugge la Giustizia Divina. La quale esige che il debito sia pagato per intero e che, se la pena dell' uomo e' la «Morte Eterna», l'amico dell'uomo abbia a patire questa pena, e non quella pena inferiore che e' la «Morte del corpo», per giunta seguita dalla sua «Resurrezione». Per salvare l' uomo Dio deve sacrificare la propria Giustizia, giacché per salvare la Giustizia di Dio occorrerebbe che il «Figlio di Dio» fosse «Eternamente Dannato». 
Tommaso d'Aquino discute questa obiezione : Se nessun uomo può caricare su di sé i peccati del mondo e salvare l' umanità , allora nemmeno la morte di Cristo e' in grado di farlo, perché Cristo e' morto in quanto «uomo» e non in quanto «Dio». 
E Tommaso risponde: Sebbene sia vero che Cristo muore soltanto come «uomo», tuttavia la sua morte e' resa preziosa dalla dignità di chi la patisce, che e' il «Figlio di Dio» (op. cit., quarto, 55). Ma questa risposta e' insufficiente, perché se nessun uomo può essere prezioso come quell'uomo che e' Cristo, allora, per questa distanza incolmabile tra Cristo e gli altri uomini, Cristo non e' «Vero uomo», come invece il pensiero cristiano ritiene. E in effetti nessun «Vero uomo» si trova, come invece Cristo si trova, ad essere insieme «Vero Dio»
Se dunque si volesse usare quella risposta di Tommaso per risolvere la difficoltà che più sopra abbiamo prospettato, si fallirebbe il bersaglio. Se cioè si volesse dire che Cristo, morendo una «Morte temporale» e non quella «Eterna», muore abbastanza, perché la sua «Morte temporale» e' più preziosa di quella di ogni altro uomo e quindi compensa la mancata «Morte Eterna» di Cristo, si perverrebbe daccapo a un Cristo che, nonostante la sua intenzione di essere «Vero uomo», non riesce ad esserlo. 
Non c' e' bisogno di uscire dalla logica del Cristianesimo per scorgere che in esso non ci si libera dall'assurdo di un «uomo» (ossia di un non Dio) che e' insieme Dio. E non e' il caso di affermare che si tratta di un «Mistero». 
Misteri sono le cose irraggiungibili dalla «Ragione umana», che tuttavia non si presentano ad essa come impossibili e contraddittorie (Neque impossibilia, neque incongrua, dice Tommaso). Da quanto stiamo dicendo appare invece che Cristo, il Dio uomo, proprio perché si presenta come una delle cose impossibili e contraddittorie, non riesce ad essere un «Mistero».

giovedì 19 giugno 2014

COSCIENZA E VOLONTA'


Ogni decisione autentica , che prende corpo nell'azione dell'uomo , deve avere alla propria base un «Sapere», ossia un insieme determinato di convinzioni, al cui centro sta lo «Scopo» che si intende realizzare. E, questo, non solo il punto di vista di Heidegger e di Schelling, ma e' anche il modo in cui viene generalmente pensato il rapporto tra la «Coscienza» (il Sapere) e la «Volontà» (la Decisione). Proprio perché sta alla base e illumina le decisioni e l'agire dell' uomo, il «Sapere» non e' il decidere e l'agire. Sono profondamente uniti, ma si distinguono. Il «Sapere» mostra (illumina) lo «Scopo» da realizzare, la decisione e l'agire sono la forza che lo realizza. 
Anche per il Cristianesimo le cose stanno in questi termini. L' apostolo Paolo dice: «Se avessi il dono della Profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la Scienza, e se avessi tutta la Fede, sì da trasportare le montagne, e poi mancassi di Amore, non sarei nulla (1 Corinzi 13)». Tutto ciò che l' Apostolo nomina e che non e' l'Amore, e' appunto il «Sapere». Il «Sapere» deve unirsi all'agire in cui consiste l'Amore e la Buona Volontà. 
Eppure Gesù conferisce alla «Fede» un peso che Paolo sembra sottovalutare e che conduce a concepire in modo del tutto diverso il rapporto tra il «Sapere» e l' «Agire». Maledetto da Gesù , il fico senza frutti e' seccato. E Gesù : «In verità vi dico che se qualcuno dirà a questa montagna: Togliti di là e gettati nel mare, e non avrà alcun dubbio nel suo cuore, ma crederà che quello che egli dice s' abbia a compiere, questo si compirà (Marco 11,20 e seguenti)». Se si ha «Fede» che qualcosa abbia ad accadere, essa accadrà . Purché la «Fede» sia pura, non indebolita da alcun dubbio. 
Questo discorso di Gesù non dice dunque che la «Fede» sta alla Base e illumina la Forza che muove le montagne. Dice che proprio la «Fede» e' questa Forza. E la «Fede» senza dubbi e' la convinzione che la montagna si smuoverà e si getterà nel mare; ossia e' una forma di «Sapere». Per Gesù , l'imperativo , Togliti di là e gettati nel mare , si risolve in un indicativo, cioè nella «Fede», nella convinzione che la montagna si getterà o sta per gettarsi nel mare (indicativo futuro). L' Imperativo, il Comando, la Preghiera, la Volontà , la Decisione sono la maschera, al di sotto della quale non c' e' che la pura convinzione che qualcosa accadrà o sta per accadere nel mondo. Oltre alla forza costituita da questa convinzione, nell'uomo non esiste dunque per Gesù alcun'altra forza mediante la quale l'uomo faccia accadere le cose e gli eventi. 
Gesù aggiunge: «Perciò io vi dico: Tutte le cose che domanderete nella Preghiera abbiate Fede di riceverle, ed esse verranno ad esistere per voi». Anche qui, la domanda che e' presente nella preghiera , la «Volontà» che vi si esprime , e' solo l' aspetto esterno della «Fede» di ricevere le cose richieste; e' solo la maschera della convinzione che esse ci verranno date. Ma la preghiera si rivolge a Dio. Quindi, al di sotto della sua forma esterna, essa e' la convinzione che Dio donerà ciò che l'uomo desidera. Anche per Gesù , infatti, una «Volontà» che voglia ottenere indipendentemente da Dio e' destinata al fallimento. Dunque ogni «Volontà» deve essere una «Preghiera» rivolta a Dio. 
Quindi deve essere la convinzione che Dio concederà quel che gli si chiede. Che non potrà mai essere in contrasto con la «Volontà» di Dio. La «Volontà» di Dio e' fatta: questo e' appunto ciò di cui e' innanzitutto convinto chi «Prega» autenticamente. E la pura convinzione che accadano certi eventi , e propriamente che Dio li faccia accadere, quando si ritiene che siano compatibili con la sua «Volontà» , e' l'unica condizione perché essi accadano. Anche quando perdona le offese, Ama i propri nemici, miete il grano e attinge l' acqua, la «Volontà» che ha Fede e' essenzialmente e unicamente la convinzione che Dio concede all'uomo certi eventi: il Perdono, l' Amore, il Grano, l' Acqua. Se l'uomo e' convinto che tali eventi gli accadano (ed e' più difficile perdonare e amare che smuovere le montagne), essi accadranno. Un Paradosso, si dirà : tutt' al più un' iperbole, una metafora. Come e' possibile che le montagne si smuovano, solo perché l'uomo e' convinto che si smuoveranno? Eppure questo discorso di Gesù non può essere liquidato così alla svelta. Anzi esso indica ciò che accade in ogni azione e in ogni decisione che credono di saper realizzare ciò che esse vogliono. 
La cosiddetta «Forza della Volontà» e' appunto, una maschera, al di sotto della quale non c' e' che la «Fede», cioè la convinzione che qualcosa abbia ad accadere. L' uomo non produce (ma nemmeno un Dio può produrre): Prevede , con gli occhi della «Fede». Per chi, come Gesù , crede in Dio, la sua «Volontà» e' , propriamente, la «Fede» che, a far accadere le cose, sia la forza di Dio. Per gli altri, la loro «Volontà» e' , propriamente, la «Fede» di possedere la forza che le fa accadere. Certamente, tale «Fede», come ogni «Fede», non ha «Verità» . Ma, quando essa accade (ad esempio quando accade la convinzione che il grano sarà mietuto e l' acqua attinta) essa e' seguita a volte da eventi, nei quali si crede di aver ottenuto quanto ci si era proposti di realizzare. Ci si illude di aver trasformato l'Essere delle cose; e su questa illusione e' fondato tutto ciò che viene chiamato «Potenza», «Successo», «Vittoria», «Dominio del Mondo».

venerdì 13 giugno 2014

IL DILEMMA DELLA PREGHIERA


Alla fine del Vangelo di Marco (16,16-17) Gesù dice: «Chi crederà sarà salvo, chi non crederà sarà condannato». Ma, prima di questa sentenza, il testo racconta come Gesù abbia unito strettamente e sorprendentemente il tema del «Credere» a quello della «Preghiera». In quanto inseparabile dalla «Fede», la «Preghiera» sta, dunque, al centro di ciò che più conta: la «Salvezza Eterna». In quel testo Gesù dice: «Abbiate Fede in Dio. In verità vi dico che se qualcuno dirà a questa montagna: "Togliti di lì e gettati nel mare" e non avrà alcun dubbio nel suo cuore, ma crederà che quel che dice s' abbia a compiere, questo gli accadrà. Perciò vi dico: tutte le cose che chiederete nella “Preghiera” abbiate fede di ottenerle e le otterrete. E quando vi accingete a pregare, perdonate, se avete qualcosa contro qualcuno, affinché il Padre vostro che è nei cieli perdoni i vostri peccati». 
Chiedere a Dio qualcosa è pregare. Se si prega Dio di avere da lui qualcosa che egli non vuol dare, non si potrà mai essere esauditi. A Dio si può chiedere, dunque, solo quel che egli vuol dare. Si può volere solo quel che egli vuole. Se Gesù dice che chi crede sarà salvo, egli vuole la salvezza dell'uomo. Quel suo dire è, cioè, un comandare all'uomo di «Credere». Non lo lascia solo, dunque, a trovare la forza che lo porti a «Credere». Vuole che creda. E quindi, pregando, l'uomo deve innanzitutto chiedere, senza aver dubbi, di «Credere» e otterrà di essere un «Credente», cioè salvo. 
E nemmeno spezza in due il Padre Nostro, come se nella prima parte volesse che sia fatta la «Volontà di Dio», ma nella seconda gli dicesse quel che vuole lui, il pane quotidiano, la liberazione dal male ecc. Infatti, se Gesù gli comanda di chiedere il pane, è perché sa che il Padre vuole che l'uomo abbia il pane. Lo stesso si dica per gli altri doni richiesti. Anche per quello espresso dalle parole: «E perdona a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Infatti nella «Preghiera» autentica l' uomo può chiedere di essere perdonato solo se sa che Dio vuole perdonarlo. 
La «Preghiera» di Gesù contiene dunque anche l'implicazione, vincolante e compromettente, tra il perdono per i propri debiti, che un uomo chiede a Dio, e il perdono, da parte di quest'uomo, dei debiti che gli altri hanno nei suoi confronti. Perdonami come io perdono, dice quell'uomo. Egli chiede perdono perché sa che Dio vuole perdonarlo. Tutto questo significa che, quando, nella «Preghiera» di Gesù, l' uomo chiede a Dio di perdonare i propri debiti come egli perdona quelli dei propri debitori, è necessario che l'uomo creda che Dio vuole che egli abbia la forza di perdonarli. 
Anche il perdono delle offese è, dunque, qualcosa che l'uomo chiede a Dio, sapendo che anche questa sua capacità di perdonare è voluta da Dio e che, quindi, egli la otterrà. L' uomo è salvo solo se ha «Fede» nel Figlio di Dio. Ma la «Fede» è inseparabile dalla «Volontà» che vuole quello che è voluto da Dio e la «Preghiera» è quel mettersi in rapporto con Dio, dove non solo si dice di volere quel che Dio vuole, ma lo si vuole effettivamente, cioè si perdona il prossimo, lo si ama e si fa tutto ciò che Dio prescrive. E, volendo tutto questo, si è convinti di ottenerlo, giacché chi crede di volere quel che è voluto da Dio non può pensare che Dio non sia capace di ottenere quel che vuole. Ma è anche necessario che chi vuole che sia fatta la «Volontà di Dio», sia convinto di essere il giusto, il buono, il santo . Convinto di essere il giusto che perdona le offese e ama il suo prossimo, chi prega nel modo dovuto agisce nel mondo e si imbatte in situazioni via via diverse, portando sempre con sé quella convinzione. 
Per Gesù la Politica è innanzitutto perdonare le Offese e Amare. Ma che una certa azione sia un'offesa, una cert'altra sia un perdono o una forma di amore è chi agisce nel mondo a doverlo decidere! A questo punto chi presta ascolto alla parola di Gesù si trova davanti a due strade; dunque a un «Dilemma». O rinuncia a credere che il modo in cui egli decide di considerare offesa, perdono, amore certe azioni sia esso stesso un volere ciò che Dio vuole; oppure non compie questa rinuncia e crede che tutto quello che egli vuole e fa sia voluto da Dio
Nel primo caso, non può più credere , in relazione alle valutazioni e decisioni che egli, da solo, deve adottare nel mondo , nell' identità tra la «Volontà» propria e quella di Dio: rinuncia a credere e, quindi, a pregare nel modo autentico; rinuncia, pertanto, alla propria «Salvezza». 
Nel secondo caso, crede che ogni sua azione privata o pubblica sia la «Volontà di Dio» e che, quindi, egli sia il giusto, il buono, il santo che sa capire quando un' azione è offesa, perdono, amore e, dunque, sa realizzare il regno di Dio in terra. Certo, il «Cristiano» si ritrae da entrambe queste strade, anche se entrambe sono una tentazione costante. Tenterà di andare un po' sull'una e un po' sull'altra. Ma proprio per questo non tradirà forse la propria «Fede» e «Coerenza»?

venerdì 6 giugno 2014

IL DILEMMA DEL CREDENTE


Se ad avere bisogno di Dio e' l'uomo antico, l'uomo moderno chiede sempre più alla «Tecnica», guidata dalla «Scienza», (vedi pubbl. genn.-febbr. 2014) quello che un tempo si chiedeva a Dio. «Il Credente», oggi, non può certamente rallegrarsi. 
La stessa Chiesa e le stesse encicliche continuano a rattristarsi per la cattiva strada imboccata dall'uomo moderno, che appunto volta le spalle a Dio e si affida alla Sapienza del Mondo e certi cattolici, dalla stessa diagnosi della Chiesa, sostengono con letizia che oggi gli uomini stanno andando verso Dio! 
Affermando che l'esistenza dell' «Uomo Dio» e' una «Verità storica evidente», il Cattolicesimo finisce col cancellare proprio quel carattere «Soprannaturale» della «Rivelazione» che invece esso proclama di salvaguardare. («Soprannaturale», cioè irraggiungibile dalla sole forze della «Ragione Umana», concepita peraltro dalla Chiesa, come capace di raggiungere «Verità evidenti»). 
Se e' evidente che Gesù e' Dio e San Tommaso (al cui seguito la Chiesa si pone) sostiene che e' evidente , ne viene che l'intero contenuto della «Rivelazione Cristiana» diventa, appunto, una «Verità Evidente», una «Verità di Ragione», una «Verità Umana» che non ha alcun bisogno della «Rivelazione di Dio». La «Fede Cristiana», che vuol essere ragionevole (rationabile obsequium), ma non vuol essere «Ragione» che pensa «Verità evidenti», finisce col presentarsi (contro le proprie intenzioni) come «Ragione» che pensa una «Verità Evidente». 
Oggi e' chiaro che le cosiddette «Verità storiche» non sono «Verità evidenti», ma soltanto ipotesi più o meno confermate (come sapeva Sant'Agostino - vedi pubbl. apr.2014 - la verità è la luce di Dio, la verità è Dio) , e quindi e' un'ipotesi, ben confermata, tanto che sia vissuto Giulio Cesare quanto che sia vissuto l'uomo stesso Gesù . Ma, per quanto confermata, un'ipotesi non riesce mai ad essere una «Verità Evidente». Specie se l'ipotesi afferma non solo che sia esistito quell'uomo, ma che addirittura egli fosse Dio. 
«Il Credente si trova di fronte a un Dilemma»: o l'incarnazione di Dio e' un'ipotesi, che nella «Fede» viene assunta come «Vera», e dunque e' una «Fede» che non può smentire la «Fede» contraria, perché ha lo stesso valore di essa; oppure e' un' «Evidenza della Ragione», e il Cristianesimo finisce così col cancellare il proprio carattere «Soprannaturale» e diventare «Gnosi», «Ragione Umana», «Sapientia huius saeculi».