domenica 30 marzo 2014

I RESPONSABILI DELLA «MORTE DI DIO»



A partire dal secolo scorso incomincia l' «Agonia» del Dio dell' intera «Tradizione Occidentale». La Filosofia degli ultimi due secoli e' la principale responsabile della «Morte di Dio». E dinanzi a quest' ultima reagisce in modi non sempre complementari, ma tutti inevitabili. Dio consolava; ma opprimeva. Dinanzi alla sua morte ci si può quindi rallegrare, sentirsi liberi, si può prendere in mano il timone del mondo. «Ma altri si sentono smarriti». Con la scomparsa di Dio e della sua dominazione opprimente la vita perde «Senso» e il non «Senso» della vita e l' «Angoscia» che ne deriva si presentano allora come l' ultima e insuperabile «Verità» . L' «Esistenzialismo» e' appunto la dimensione dove la Filosofia prende atto di questa «Verità» ultima. 
Per la nostra cultura e' divenuto ormai impossibile prescindere da questa forma del pensiero filosofico . la Filosofia dell' «Esistenza» , che da Kierkegaard e Nietzsche, attraverso Jaspers e Heidegger, e' giunta fino a Sartre e la cui espressione letteraria si e' soliti ravvisare in scrittori come Dostoevskij, Kafka, Camus. In una famiglia in cui sia morto il padre padrone non si può più vivere come prima , anche se si tenta di dimenticare il vuoto che si e' prodotto, e il «Senso di colpa», riempiendolo con il «Senso di liberazione e di Potenza» che spesso provano i figli quando seppelliscono i padri e che oggi si esprime nella volontà di organizzare il mondo sulla base della «Scienza» e della «Tecnica» le quali sanno fare sempre più cose, ma sanno sempre meno quello che stanno facendo. Distruggendo il Dio della nostra tradizione, l' «Esistenzialismo» , con le altre grandi esperienze della Filosofia contemporanea , si trovava nella maggiore vicinanza (come capita ai nemici che si combattono) a tutto ciò che quel Dio aveva significato. Di questo la cultura scientifico tecnologica si e' invece dimenticata, anche se la «Tecnica» domina il Pianeta. 
La grandezza della «Tecnica» e' per ora deformata dall'interpretazione tecnicistica della «Tecnica»; e' avvolta dal grigiore dei suoi interpreti ufficiali, che a sua volta alimenta la rozzezza, ovunque percepibile, con cui le forze sociali dominanti intendono voltare le spalle alle «ideologie» in nome della «Tecnica», dell' efficienza, della competenza. Vi sono motivi per pensare che si uscirà da questa «Bassura» e che siano rafforzate quelle forme di sapere che, come l' «Esistenzialismo», tengono vivo il ricordo del nostro passato. Ma oggi la nostra civiltà e' un navigatore che, allontanandosi dalla terra del passato, non si ricorda più dove sia la terra: può sbattervi contro, nella nebbia della dimenticanza, da un momento all'altro , e ritornare al passato più primitivo e più incolto.

venerdì 28 marzo 2014

IL TRAMONTO DELLA VERITA' ASSOLUTA


Va facendosi largo nel mondo la «convinzione» che l’uomo non possa mai raggiungere una «Verità Assolutamente Innegabile»; che, prima o poi, ogni «Verità» siffatta resti travolta da altri modi di pensare, da altri costumi, cioè si trasformi, muoia: divenga. Travolta, anche la certezza che esistano le «Cose» che ci stanno attorno; essa è innegabile solo fino a che esse non vanno distrutte: era innegabile solo provvisoriamente. Essere «convinti» dell’inesistenza di ogni «Verità Assoluta», è quindi essere «convinti» dell’inesistenza di ogni «Essere Immutabile ed Eterno». 
«Dio è morto», si dice . La negazione di ogni «Verità Assoluta» e «Innegabile» non investe dunque l’esistenza del «Divenire» del Mondo. Anzi, proprio perché si fa largo la «convinzione» che il «Divenire» di ogni «Cosa» e di ogni stato sia assolutamente «Innegabile» ed «Eterno», proprio per questo è inevitabile che ci si «convinca» dell’impossibilità di ogni altro «Innegabile» e di ogni altro «Eterno».
Il Cristianesimo intende essere l' «Ordinamento Assoluto» che rende possibile la salvezza dell' uomo. A quell'ordine di fenomeni appartiene anche la crisi del Capitalismo: non tanto quella relativa alle difficoltà in cui oggi si trova, quanto piuttosto quella per cui è sempre meno inteso come una legge naturale eterna, cioè come l' «Ordinamento Assoluto» che rende possibile la salvezza economica , e sempre più come un esperimento storico dai molti meriti, ma dall'esito incerto, anche per la devastazione della terra a cui esso conduce. 
Ma in modo eminente è la Filosofia a rompere col passato, e innanzitutto col proprio, mostrando l' impossibilità di quell'«Ordinamento degli Ordinamenti» che è l'esistenza stessa di una «Verità Assoluta» e di un «Essere Assoluto» che intenda valere come Principio del mondo. «Dio è morto», si dice , e alla radice è morta quella «Verità Assoluta» che presume di potersi mantenere stabile e inalterabile al di sopra della storia, del tempo, del «Divenire». Di questo atteggiamento del pensiero filosofico risentono le scienze naturali e logico-matematiche, che nei modi loro propri non si presentano più come «Verità Assolute», ma come ipotesi o leggi statistico-probabilistiche di cui è sempre possibile la falsificazione. 
Anche le scienze giuridiche abbandonano il concetto di Diritto Naturale, nella misura in cui esso vuol essere un Diritto Assoluto, assolutamente vero e presente nella coscienza di ogni uomo, e portano in primo piano il concetto di Diritto Positivo, posto dall'uomo in determinate circostanze storiche. Con ciò non si vuol dire che la tradizione dell'Occidente non possa essere «Verità Assoluta», ma che il modo, in cui il «Tramonto» degli assoluti è messo in luce dal pensiero filosofico del nostro tempo , si fa in qualche misura sentire anche da chi non sarebbe in grado di capirlo. E, certo, quel modo di «Tramontare» si è fatto sentire più chiaramente nella distruzione degli «Assolutismi e Totalitarismi» politico-economici operata nell' Europa del XX secolo. 
Rilievi, questi, che mettono in luce come le guerre e le rivoluzioni del Novecento europeo tendano ad avere un carattere del tutto diverso da quelle dei secoli precedenti, che per quanto profonde e anticipatrici, rovesciavano sì vecchi ordinamenti assoluti, ma lasciando che i nuovi conservassero il carattere dell' assolutezza. Per questo è più difficile , ma non tanto , che le rivoluzioni del Nord Africa, che in qualche modo possono dirsi europee, abolendo regimi totalitari abbiano a sfociare in nuove forme di Assolutismo, quale l' «Integralismo Islamico». 
Quanto si è detto sin qui è infatti soltanto la descrizione di un fatto, sia pure di enormi proporzioni , ma non si è detto ancora nulla della «Irrefutabilità», ossia della «Verità» di tale fatto: non si è ancora detto nulla di quell'altra forma di «Verità» che è la «Verità della distruzione della Verità della tradizione Occidentale» , ossia della «Verità» che, si è detto, pretende porsi, inalterabile e immutabile, al di sopra del tempo e della storia. 
Le Democrazie parlamentari hanno distrutto gli Stati Totalitari del Novecento, che, appunto, si presentano come la forma terrena della «Verità» e del Dio assoluti. Questo, dal punto di vista delle scienze storiche, si può considerare un fatto. Ma da ciò non si può concludere che le «Democrazie» siano «Verità» e i «Totalitarismi Errore». Concludere così significa confondere i criteri della lotta politica con quelli del pensiero critico-filosofico , che invece in proposito può dire ben di più . Dice infatti che, da un lato, lo Stato Assoluto, controllando l' intera vita dei sudditi, predetermina il loro futuro, lo occupa interamente e gli impone la propria legislazione inviolabile; e che, dall'altro lato, lo Stato Assoluto, ma anche i suoi sudditi, sono tuttavia più o meno consapevolmente convinti che il futuro esiste ed è la dimensione di tutto ciò che ancora non esiste, non è predeterminato, non è già occupato da alcuna inviolabile legislazione. 
Lo Stato Assoluto è dunque una gigantesca contraddizione, in cui l' esistenza del futuro è, insieme, affermata e negata. E la contraddizione non solo è uno stato di essenziale instabilità, prima o poi destinata a crollare, ma è anche la forma essenziale dell' «Errore». Solo se si sa scorgere in modo appropriato la contraddizione da cui è avvolta una certa situazione storica è possibile prevedere il crollo di quest’ultima, senza che la previsione decada al rango di divinazione o di profezia (ad esempio, si può mostrare che il marxismo scorge in modo inappropriato la contraddizione dell'Assolutismo capitalistico e imperialistico). 
La distruzione dello Stato Totalitario (e della sua presunta «Verità») da parte della «Democrazia» ha dunque «Verità» solo se la «Democrazia» è consapevole della contraddizione del «Totalitarismo». Altrimenti (ed è questa la situazione) la «Democrazia» è una forma di violenza che si contrappone a quella totalitaria e che in Occidente ha vinto solo di fatto , provvisoriamente, apparentemente , non di diritto. La contraddizione dell'«Assolutismo» Politico è presente anche in tutte le altre forme di «Assolutismo» (alle quali si è fatto cenno sopra) della «Tradizione Occidentale». Ma, la loro, rispecchia in forma derivata la contraddizione estrema e grandiosa che avvolge la «Verità» della tradizione filosofica. 
Tale «Verità» intende infatti essere l' «Ordinamento di tutti gli Ordinamenti». Tutto deve esistere conformemente alla «Verità Assoluta»: essa non è soltanto la legge che domina il futuro dei sudditi dello Stato Assoluto, ma è la Legge che predetermina e dunque occupa e domina (oltre al presente e al passato) il futuro di tutte le cose, lo riempie completamente con sé stessa; e quindi lo vanifica nel modo più radicale, perché, così riempito, il futuro non è più futuro. Ma, insieme, la «Verità» della «Tradizione Occidentale» è il riconoscimento dell'esistenza del tempo e quindi del futuro: è la «Fede» più incrollabile e profonda in tale esistenza: intende essere appunto la Legge del tempo, sopra il quale pone la dominazione del Dio esso stesso «Eterno» e «Assoluto». 
La Verità Assoluta è cioè «Fede» intransigente nell'esistenza e, insieme, nell'inesistenza del tempo e della storia. Dunque è contraddizione estrema. Se si riesce a scorgere in modo appropriato che la «Verità Assoluta» della tradizione è contraddizione estrema e dunque estrema instabilità, si è in grado di affermare che tale «Verità» è destinata al «Tramonto».

Nota Finale:
La verità assolutamente innegabile esiste e tutto ciò che esiste (nel presente, nel passato, nel futuro) è «Eterno», ossia non esiste alcunché che esca dal proprio esser stato «nulla» e che sia travolto nel «nulla». Certo, la più sconcertante delle affermazioni.
Dunque, la sconcertante affermazione  che tutto ciò che esiste è «Eterno», non è un «paradosso» che «si scontra» con l’esperienza, cioè «con il fatto che l’uomo muore». All’opposto, a scontrasi con l’esperienza sono coloro che, affermando la sua capacità di attestare l’annientamento degli uomini e delle cose, vedono in essa ciò che in essa non c’è e non può esserci. Sono molti, moltissimi, Non importa. Anche quando qualcuno ebbe a mostrare che è la Terra a girare attorno al sole e non viceversa, tutti gli altri lo negavano, sconcertati. (Vedi Post. Marzo 2013 E. Severino il Filosofo della verità)







venerdì 21 marzo 2014

RELATIVISMO E VERITA' ASSOLUTA


Il «Relativismo», si dice, nega che l'uomo riesca a conoscere una «Verità Assoluta» e «Irrefutabile» (evidente rispondenza al vero). Se ci si ferma a questa definizione, tutta la cultura del nostro tempo, innanzitutto quella filosofica, è relativista. Ma allora va anche detto che quella negazione della «Verità» era già sostenuta 2.500 anni fa, e in grande stile, dalla «Sofistica». Anche perché già il Pensiero Greco sapeva che chi afferma che non esiste alcuna «Verità Assoluta» afferma egli stesso che nemmeno questa sua affermazione è una «Verità Assoluta». 
Il «Relativismo» degli ultimi due secoli (l'avversario di Benedetto XVI) è tutt'altra cosa. Nega tutto l' «Antirelativismo» che c' è stato nel frattempo. Si crede che il «Relativismo» possa appoggiarsi anche a Pascal, per il quale la «Verità Assoluta» non potrà mai esser trovata perché «Tutto muta col Tempo». Ma Pascal non giunge a dire che, proprio perché «Tutto muta col Tempo», non può esistere nemmeno un «Dio Eterno» e «Assoluto». Lo dirà Nietzsche (per il quale Pascal era un genio rovinato dal Cristianesimo). Pascal non giunge a tanto, perché per lui quel «Tutto che muta» è, propriamente, il «Mondo». 
Nietzsche arriva a tanto perché, fondandosi sulla persuasione che nel Mondo «Tutto muta», mostra l' impossibilità dell' esistenza di un qualsiasi «Essere Eterno» e «Assoluto». Ma tale persuasione non è solo di Pascal e di Nietzsche: è di tutta la Cultura e la Civiltà dell' Occidente , e, ormai, del «Pianeta»
Sin dall'inizio l'avanguardia dell'Occidente , la Filosofia Greca , è persuasa che il «mutamento» del Mondo sia una «Verità Incontrovertibile» (e che il «mutamento» sia un passare delle «Cose» dal «Non Essere» all' «Essere» e viceversa, cioè abbia un carattere essenzialmente più radicale del modo in cui esso era stato precedentemente inteso dall'uomo). 
Sono soltanto Nietzsche e pochi altri a saper mostrare perché, dal fatto che nel Mondo «Tutto muta», è necessario concludere che non esiste alcuna «Verità Assoluta» e «Irrefutabile» oltre a quella che consiste nell'affermazione di quel fatto, e che non esiste alcun «Essere Eterno» e «Assoluto» oltre agli «Esseri che mutano nel Tempo». Nietzsche e pochi altri , abitando quello che son solito chiamare il sottosuolo essenziale del pensiero del nostro Tempo , san fare cioè quel che i «Relativisti» di oggigiorno non sanno fare; e non lo sanno anche perché, per lo più e più o meno consapevolmente, evitano di riconoscere che anche per loro è una «Verità Irrefutabile» e «Assoluta» che nel Mondo «Tutte le cose mutano col Tempo». 
Antirelativisti sono coloro che lungo la tradizione dell' Occidente condividono sì la persuasione che il «mutamento» delle cose del Mondo è una «Verità Irrefutabile»; ma, a differenza dei «Relativisti», ritengono che «Verità Irrefutabile» sia anche l' esistenza di un «Essere Eterno» e «Assoluto» «al di là» o all'«interno» del Mondo. Sono gli amici della «Metafisica». 

Ma nel sottosuolo essenziale del nostro tempo appare l' impossibilità della «Metafisica». D' altra parte, ai «Relativisti» che stanno fuori del sottosuolo, alla superficie, gli «Antirelativisti» e i «Metafisici» obbiettano quel che già abbiamo sentito, cioè che se tutta la nostra conoscenza è fallibile e congetturale, allora lo è anche l' affermazione che tutta la nostra conoscenza è fallibile e congetturale. Per trarsi d'impaccio, i «Relativisti» più spregiudicati di superficie hanno finito col riconoscere che anche il loro «Relativismo» è fallibile e congetturale. 
l'uomo non apre bocca se dubita di quel che dice. E se dice: «Dubito di quel che dico», egli non dubita di dubitare. (Che è cosa del tutto diversa dal «Cogito Cartesiano» , perché se l'uomo apre bocca solo se non dubita, la maggior parte delle volte che l'apre dice però «Cose false»; mentre le considerazioni di Cartesio sul «Cogito» intendono pervenire alla «Suprema Verità Incontrovertibile»). 
Nella folla sterminata di coloro che , senza saperlo e anzi spesso negandolo , sono convinti di conoscere «Verità Assolute», si trovano anche gli uomini dell'Occidente, per i quali la «Verità Assoluta» e «Incontrovertibile» dominante è che «Le Cose del Mondo mutano col Tempo»; e son giunti a mostrare (nel sottosuolo del nostro tempo) la necessità che tutte le «Cose» mutino, «nascano e muoiano», quindi a mostrare che non esiste alcuna «Verità Immutabile» se non quella che afferma il «Divenire» e il travolgimento di ogni «Cosa» e di ogni «Verità». 
Restano travolte anche la Politica e la Morale che, lungo la tradizione «Antirelativistica» dell' Occidente, consistevano nell'adeguare la vita dello Stato e dei singoli individui alla «Verità Immutabile» ed «Eterna». Quelle erano la Politica e la Morale convinte di parlare «Con Verità». Se oggi qualcuno auspica una Politica capace di parlare «Con Verità», deve tener presente che quella della «Verità» è, si è intravisto, una faccenda parecchio complessa. 
Quando oggi i cattolici e la Chiesa , ad esempio , usano questa espressione, intendono una Politica e una Morale che, contro il «Relativismo», siano legate alla «Verità Incontrovertibile» e «Assoluta» della «Metafisica» tradizionale (aperta alla rivelazione di Gesù). E dunque intendono una Democrazia che non sia, come invece lo è la Democrazia procedurale, una «Libertà senza Verità». Un problema che certo ci tocca da vicino, ma che (a parte il fatto che non riguarda la «Verità», ma la «Sincerità», giacché se non c' è «Verità» senza «Sincerità», si possono invece dire con «Sincerità» «Cose false») è pur sempre subordinato alla gran questione del rapporto tra «Relativismo» e «Antirelativismo» , visto che l' accentuata corruzione della Politica (Vedi Pubbl. Ottobre 2013) e della Morale è una conseguenza dello stato di transizione in cui il Mondo si trova: tra la tradizione, dove anche i corrotti si riconoscevano pur sempre sottoposti al giudizio della «Verità», e il tempo futuro. 
Il tempo in cui , con l'inevitabile «Tramonto» di ogni «Verità Metafisica» e di ogni «Eterno Signore del Mondo» , quella forma suprema dell'agire umano che è la «Tecnica» viene autorizzata a prendere in mano, essa, le sorti del Mondo. 

venerdì 14 marzo 2014

IL FUTURO DELLA FILOSOFIA (CAP. 2)



Il Futuro della Filosofia non può quindi essere pensato indipendentemente dal futuro della Civiltà della Tecnica. Scienza e Tecnica si accingono a risolvere tutti i problemi che sinora hanno angosciato l’esistenza dell’uomo. Gli ostacoli maggiori non sono di natura Scientifico-Tecnologica, ma «Ideologica», legati cioè alla tradizione Metafisico-Teologico-Epistemica dell’Occidente. L’efficacia della Scienza è ridotta dalla circostanza che essa è oggi amministrata da due forze ideologiche contrastanti, il Mondo Capitalista (USA) e quello Comunista (URSS) (Vedi pubbl. Dicembre 2013)  e altre forze della tradizione Occidentale, come il Cristianesimo, tentano, con sempre minori possibilità di successo, di mettersi alla guida della «Potenza» sviluppata dalla Scienza. 
Ma se le forze ideologiche intendono assegnare dall’esterno i propri scopi all’«Apparato Scientifico-Tecnologico», e cioè servirsi di esso per realizzarli, d’altra parte esso mira di per se stesso a uno scopo supremo: l’incremento indefinito della propria «Potenza». E poiché le ideologie antagoniste non possono restare indifferenti di fronte a tale incremento, è inevitabile che gli scopi delle ideologie finiscano per essere subordinati allo scopo intrinseco di tale «Apparato»: l’indefinito aumento della «Potenza».  
In un Mondo sempre più affamato, dove i «Paesi poveri» premono su quelli «ricchi», cioè sia sul Mondo Capitalista (USA), sia su quello Comunista (URSS), per impadronirsi delle fonti del «potere» e della «ricchezza», è molto più probabile che i ricchi, prima di «Distruggersi» a vicenda, salvaguardino i propri privilegi scaricando sui «Paesi poveri» il loro «potenziale distruttivo». Anche la previsione che il sistema economico mondiale, e quindi L’«Apparato Scientifico-Tecnologico», sostanzialmente integrato a tale sistema, giungerà al «collasso» entro pochi decenni per l’«Incremento Demografico», il «Consumo delle Risorse» e, l’«Inquinamento» (Vedi pubbl. Marzo-Aprile 2013 Entropia, Inquinamento), non tiene conto della circostanza che gli attuali amministratori della «Potenza Planetaria» hanno la capacità di intervenire prima dell’approssimarsi del punto di «collasso», scaricando sui non privilegiati le conseguenze negative della terapia. 
Ma una volta che, sia per questa terapia, sia per il reperimento di forme alternative di energia, di sistemi di disinquinamento planetario e di riduzione del tasso di crescita demografico, non fosse più minacciata la sopravvivenza dell’«Apparato Scientifico-Tecnologico», esso avrebbe finalmente via libera per soddisfare i bisogni dell’intera umanità, «Materiali» e «Spirituali». Si intravede cioè la strada percorrendo la quale la Scienza e la Tecnica possono realizzare sulla terra, dopo una lunga storia di orrori, quel «Paradiso» che il Cristianesimo e altre forme di religione pongono nell’«al di là». 
Non ci sono motivi per escludere che esse possono non solo liberare l’uomo dai bisogni «Materiali» e allontanare sempre più l’incubo della morte, ma abbiano anche la capacità di predisporre le condizioni che consentono all’uomo di raffinare la propria sensibilità per la «Tolleranza», la «Gentilezza», la «Bellezza», l’«Amore», la «Felicità» e per ciò che sta sempre «al di là» di ogni orizzonte raggiunto e intravisto. 
La trascendenza  e la consapevolezza che ogni limite è provvisorio appartengono all’essenza dell’«Apparato Scientifico-Tecnologico», perché esso è «Volontà» di accrescere indefinitamente la propria «Potenza», cioè di portarsi sempre oltre lo stato di volta in volta raggiunto. La «disumanità», l’«aridità» e l’«ottusità» della Tecnica sono un pericolo del presente, non del futuro «Paradiso» Scientifico, riguardano cioè una fase storica in cui certi gruppi umani possono sopravvivere e mantenere i loro privilegi a scapito di altri gruppi. 
Il «Paradiso» della Scienza può dunque soddisfare tutti i bisogni dell’uomo, anche quello di inventare indefinitamente nuovi bisogni e di oltrepassare tutti i modi in cui essi vengono soddisfatti. La felicità che esso consente è la liberazione più radicale dall’angoscia e dal dolore. Tuttavia, tuttavia proprio quando il «Paradiso» della Scienza potrà realizzarsi, si farà innanzi e diventerà incombente una «privazione», tanto più angosciosa quanto più essa tenderà a restare l’unica «privazione» nella vita dell’uomo. Il «Paradiso» della Scienza è infatti fondato sulla logica della Scienza, cioè su una logica «ipotetica», che ha rinunciato a presentarsi come «Verità» definitiva e incontrovertibile. 
Questo vuol dire che, per quanto elevata e crescente, la felicità del «Paradiso» della Scienza è «ipotetica», ossia può presentarsi da un momento all’altro come «illusoria» ed è inevitabilmente accompagnata dalla consapevolezza di questa possibilità. Ma un «Paradiso» in cui è possibile chiedersi se esso non sia un’«illusione» è un «inferno». Quanto più si è felici, tanto più il terrore di perdere la felicità rende infelici. Nietzsche ha rilevato che, nella società moderna, le migliori condizioni di vita e la sicurezza raggiunta riducono o eliminano l’angoscia per l’imprevedibilità del «Divenire» e danno il piacere dell’imprevisto e dell’avventura. 
E si può pensare che questo fenomeno raggiunga il culmine con le condizioni di vita rese possibili dal«Paradiso» della Scienza e della Tecnica. Ma quando, come in questo «Paradiso», la sicurezza della vita è così sviluppata da rendere desiderabile l’imprevisto e l’avventura, è inevitabile che divenga sempre più lucida e pressante la consapevolezza che, per quanto confermata dalle procedure scientifiche più raffinate, quella sicurezza ha pur sempre un valore «ipotetico» che può essere improvvisamente smentito. Si ama l’avventura e l’imprevisto se si è sostanzialmente sicuri; ma non li si ama più quando la felicità è così alta da crescere sempre e tuttavia ci si rende conto che la sicurezza del suo possesso rimane nonostante tutto un’«ipotesi» e che quindi il «Paradiso» può essere improvvisamente perduto. 
Il «Paradiso» della Scienza è inevitabilmente privo di «Verità», perché la nostra cultura ha abbandonato da tempo la pretesa di conoscere la «Verità». E l’ha dovuta abbandonare, perché la «Verità», come evocazione degli immutabili, è stata un «rimedio» peggiore del male. E tuttavia, una volta che l’uomo ha attraversato l’epoca che lo separa dal «Paradiso» della Scienza, l’epoca in cui ha ancora «senso» il piacere dell’avventura e dell’imprevisto, perché tale piacere può riuscire superiore al dolore del naufragio, l’imprevedibilità del «Divenire» torna a farsi angosciosa e anzi spinge al punto più alto dell’angoscia, perché ora ciò che il «Divenire» può tenere in serbo è il naufragio del «Paradiso». Anche il «rimedio» della Scienza fallisce. 
E’ a questo punto che la Filosofia potrà avere un Futuro. Fino a questo punto la Filosofia, come evento sociale, è destinata a non mutare, ossia ad allargare e a rafforzare il suo carattere presente, il suo compito di proteggere il «Divenire» dalle incursioni e dai ritorni della tradizione, rendendolo disponibile all’azione Scientifico-Tecnologica. Quando invece, con l’avvento del «Paradiso» della Scienza, ci si renderà conto che il «Paradiso» in cui si abita non ha «Verità», e l’angoscia diventerà insopportabile, la Filosofia potrà trovarsi di fronte a un bivio. O si rivolgerà nuovamente alla «Verità» della tradizione epistemica occidentale, oppure, finalmente, incomincerà a mettere in questione lo «spazio», portato alla luce dal pensiero greco, in cui cresce l’intera storia dell’Occidente fino all’avvento del «Paradiso» della Scienza: lo «spazio» che è comune all’evocazione degli immutabili, alla loro distruzione e al «Paradiso» della Scienza, lo «spazio» costituito dalla «Fede nell’Esistenza del Divenire». 
Nel primo caso, si riaprirebbe il circolo che dal «rimedio» epistemico conduce al «rimedio» scientifico e al loro fallimento. Nel secondo caso, la Filosofia, come evento corale e voce dei popoli, incomincerebbe a rendersi conto che la «suprema evidenza» del «Divenire» è appunto una «Fede», anzi la più indiscussa delle fedi, e che lo «spirito critico» del passato, del presente e del futuro della Civiltà Occidentale discute tutto, ma non discute l’essenziale, cioè la «Fede» di fondo in cui l’ Occidente si muove, la «Fede» che le «cose» escono dal «Niente» e ritornano nel «Niente». 
Per quanto sconcertanti possano apparire queste affermazioni, è però possibile sin d’ora comprendere che l’uomo va alla ricerca del «rimedio» contro l’angoscia del «Divenire», perché, innanzitutto, crede che il «Divenire» esista; e che quando si incomincia a mettere in questione questa «Fede», si incomincia a mettere in questione la logica del «rimedio». Per Nietzsche il «Superuomo» non sente il bisogno di un «rimedio» e di un riparo contro il «Divenire». Ma quanto stiamo dicendo accenna a un «Senso» radicalmente diverso del «Superuomo»: ci si porta «Oltre L’uomo» (appare ciò che da sempre noi siamo oltre il nostro «Esser-Uomo») quando ci si libera dalla «Fede nel Divenire», e quindi dall’angoscia che essa produce, e quindi dal bisogno di costruire un riparo contro di essa.


IL FUTURO DELLA FILOSOFIA (CAP. 1)


La Distruzione di ogni Struttura Immutabile è anche distruzione della prima grande forma di «rimedio» che l’uomo Occidentale ha escogitato per difendersi dal pericolo e dall’angoscia. Oggi, il «rimedio» è la Scienza e la Tecnica. Ma prima di chiedersi quale possa essere la forma futura del «rimedio» e ,quindi, come possa configurarsi il «Futuro della Filosofia», si deve comprendere il «Senso» della logica del «rimedio». Si ama ripetere che per Platone e Aristotele gli uomini incominciarono a filosofare spinti dalla «meraviglia» che essi provano quando, di fronte agli eventi del mondo, ne ignorano le «cause». Tutte le «cause» sono poi riconducibili alla «Causa Prima», in cui è custodito appunto il «Senso» definitivo di tutta la realtà. 
La parola Greca «Tha’uma» viene tradotta con «meraviglia» e ha un significato molto più intenso: indica anche lo stupore attonito di fronte a ciò che è strano, imprevedibile, orrendo, mostruoso. Se infatti non si conoscono le «cause» di ciò che accade, se non se ne possiede la spiegazione, l’accadere del mondo diventa imprevedibile, minaccioso, pericoloso, diventa cioè l’«Origine» di ogni inquietudine, terrore, angoscia. Anche se evita di sottolinearlo, Aristotele, affermando che la Filosofia nasce dalla «meraviglia», intende dire che la Filosofia nasce dal terrore suscitato dall’ imprevedibilità del «Divenire della Vita». Conoscendo le «cause»del «Divenire», la Filosofia rende prevedibile ciò che non si lascia prevedere, lo inserisce in una spiegazione stabile, cioè lo vede alla luce del «Senso» Immutabile della totalità dell’«Ente» e, quindi, appronta il «rimedio» contro il terrore della vita. La contemplazione disinteressata della «Verità» è stata cioè il primo formidabile strumento con cui l’uomo, nella Civiltà Occidentale, ha soddisfatto il proprio fondamentale interesse: la difesa contro la minaccia del «Divenire», la liberazione dal terrore e dall’angoscia provocata dall’imprevedibilità degli eventi. 
Lungo i millenni che precedono la nascita della Filosofia, anche il mito raccoglie gli eventi del mondo all’interno di una spiegazione unitaria, di un «Senso» che elimina la loro imprevedibilità e quindi è un «rimedio» contro il terrore da essa prodotto. Ma il mito ignora il «Senso» radicale che la «Verità» possiede all’interno dell’«Epistéme». E’ la Filosofia a evocare per prima l’idea di una «Verità» assolutamente definitiva e incontrovertibile e a proporsi di riempire tale idea con un sistema di conoscenze concrete. Poiché il «Senso» del mondo, costruito dal mito, non appare all’interno della «Verità» dell’«Epistéme», è inevitabile che, al di sotto della sicurezza offerta all’uomo da esso, serpeggi l’inquietudine e l’insicurezza. Esse vengono allo scoperto quando la Filosofia evoca la «Verità»: agli occhi degli scopritori dell’idea definitiva della «Verità» il «rimedio» approntato dal mito contro il terrore deve apparire inaffidabile, insicuro, inefficace. Il terrore sorge dall’imprevedibilità del «Divenire», e quindi il «rimedio» contro di esso può essere dato soltanto da una previsione vera, incontrovertibile, definitiva di tutto ciò che può sopraggiungere. 
Il «Senso» stabile e unitario del «Tutto» è appunto la previsione della sostanza  e dell’essenza di ogni evento (appunto perché l’evento, sopraggiungendo, deve adeguarsi a quel «Senso»); ma solo l’«Epistéme» si è proposta di essere la previsione vera e incontrovertibile, rispetto alla quale la previsione mitica appare quindi come un «rimedio» illusorio. Solo la «Verità» può salvare dal dolore del «Divenire». Che è affermazione diversa da quella di Nietzsche, per il quale ciò che è stato chiamato «Verità» aveva in effetti il compito di salvare dal dolore. Per i Greci e l’intera tradizione filosofica, dal dolore può salvare solo ciò che è veramente la «Verità», e se ciò che si qualifica come «Verità» non lo è davvero, esso non può salvare dal dolore, non può renderlo sopportabile all’interno del «Senso» della realtà in cui il dolore è veramente spiegato. 
La Filosofia scopre il supremo «rimedio» contro il dolore e il terrore proprio nell’atto in cui porta alla luce la forma estrema del dolore e del terrore: il «Divenire», inteso come l’uscire e ritornare nel «Niente». Se l’«Origine» del terrore è l’imprevedibile, il terrore diventa estremo quando estrema diventa l’imprevedibilità; ed estrema essa diventa quando, con i Greci, si incomincia a pensare che gli eventi irrompono nel mondo provenendo da «Niente» Non vi è infatti nulla di più imprevedibile del «Niente». La Filosofia dunque, nascendo, è tesa in due direzioni contrastanti. Come «Epistéme», in cui sono svelati il «Senso» e l’«Origine» del «Divenire», è suprema previsione e anticipazione del «Divenire», perché gli eventi devono adeguarsi alla «Legge Immutabile» costituita da quel «Senso» e da quell’«Origine». Ma come evocazione del significato ontologico del «Divenire», la Filosofia evoca insieme l’imprevedibilità estrema, l’estrema impossibilità di anticipare in una «Legge» il «Divenire del Mondo». Non solo la storia della Filosofia, ma l’intera storia dell’Occidente è sostanzialmente lo sviluppo del contrasto tra queste due istanze irriducibilmente incompatibili. 
Uno scontro dove il «Senso» greco del «Divenire» finisce col distruggere il suo antagonista, cioè la «Volontà» epistemica di dare un «Ordine», un «Senso», un’«Origine» assoluti e immutabili al «Divenire». Uno scontro, dunque, dove il «Senso» greco del «Divenire» finisce col distruggere la prima grande forma di «rimedio» che l’Occidente ha escogitato contro la minaccia del «Divenire». Il «rimedio» è  l’evocazione dell’immutabile; ma l’immutabile rende inconcepibile ciò che per altro è evidente: l’innovazione imprevedibile del «Divenire». Certo, il «Divenire» è il pericolo, ma è anche la libertà creatrice della vita dell’uomo: per la vita, il pericolo è la vita stessa; essa è, insieme, ciò che è minacciato e la minaccia, ciò che si angoscia e la fonte dell’angoscia. Molte le cose inquietanti, dice Sofocle, ma nessuna più inquietante dell’uomo. Soffocando il «Divenire», l’immutabile soffoca la vita, per proteggere la quale era stato evocato. 
La Liberazione dell’uomo moderno è la distruzione di un «rimedio» grandioso, che però, come avverte Nietzsche, è stato peggiore del male. Certo, liberandosi dalla protezione dell’immutabile, l’uomo moderno si espone nuovamente al rischio del «Divenire». Ma se all’inizio della nostra civiltà la capacità dell’uomo di trasformare e dominare il mondo è ancora ridotta, si che il supremo «rimedio», dopo il mito, non può consistere in altro che in un atteggiamento «conoscitivo», in un modo di interpretare il mondo, che presenta sé come «Verità Assoluta», con la Scienza e la Tecnica moderne l’uomo acquista un potere sulle «cose», una capacità di controllare la loro oscillazione tra l’«Essere e il Niente» che non fa rimpiangere il dominio epistemico-filosofico del «Divenire», accessibile soltanto a una «élite» e incapace di essere percepibile dalle masse e dalle nuove classi sociali in ascesa. Si è cioè diffuso un «Senso» di sicurezza che fa dimenticare l’antico terrore del «Divenire». Lo stesso Cristianesimo stabilisce un rapporto con le masse occidentali, che scavalca la Filosofia e insieme la sfrutta, perché presenta come «Verità» incontrovertibile il contenuto della «Fede» (le «Verità di Fede»), ma senza mostrare perché esso lo sia, e anzi escludendo che la mente umana possa comprendere perché quel contenuto è «Verità». Ma anche le «Verità» di Fede» del Cristianesimo sono forme immutabili che vengono investite e progressivamente accantonate dal processo di «Liberazione» dell’uomo moderno. 
Nella Civiltà della Tecnica l’organizzazione Scientifico-Tecnologica dell’esistenza è divenuta la forma di «rimedio» rispetto a cui ogni altra ha perso valore. Da sempre il «rimedio» è «Dominio»: ci si può salvare dalla minaccia del «Divenire» solo dominandolo. Ma il «rimedio» e il «Dominio» della Scienza e della Tecnica riescono ad essere una previsione efficace degli eventi, che però non soffoca e non rende inconcepibile il «Divenire». La Scienza rinuncia ad essere «Verità» definitiva, epistemica e si presenta come sapere «ipotetico», che sulla base di quanto va via via realizzandosi nell’«esperienza» fonda previsioni largamente confermate, e tuttavia è disposta a modificare le proprie ipotesi quando risultano incompatibili col «Divenire dell’Esperienza». L’Epistéme è una previsione che piega il «Divenire» al «Senso» immutabile da esso svelato; la Scienza Moderna è una previsione largamente confermata, che tuttavia modifica continuamente le proprie ipotesi quando diventano incompatibili  con l’«Esperienza del Divenire». 
La Scienza è la forma più «potente» di «Dominio», perché è la forma più «potente» di previsione. Per salvarsi dalla minaccia del «Divenire», lo si deve pur sempre prevedere, ma la previsione scientifica non subordina a sé gli scopi dell’uomo, ma sembra porsi al loro servizio. Inoltre, proprio perché la Scienza rinuncia ad essere «Verità» definitiva, non è previsione del «Senso» unitario della totalità dell’«Ente», ma è previsione e «Dominio» di eventi singoli, specifici. La cultura contemporanea ha ormai raggiunto una piena consapevolezza del carattere «ipotetico» e delle straordinarie possibilità di «Dominio» della Scienza. Continua invece a sfuggire che la Scienza è la forma più «potente» di «Dominio», perché, anche se non se ne rende conto, è la forma di «Dominio» più adeguata al «Senso» greco del «Divenire», ossia è la forma in cui quel «Senso» è radicalmente liberato da ciò che lo rende impossibile. 
Anche quando si presenta come critica radicale della Scienza e della civiltà della Tecnica, la Filosofia contemporanea, in cui il processo di distruzione degli immutabili diventa maggiormente consapevole del proprio significato, svolge quindi innanzitutto la funzione di proteggere la dimensione del «Divenire», cioè lo spazio in cui la Scienza sviluppa le proprie previsioni e la propria «potenza»: sia depurando tale spazio da ogni traccia del passato epistemico, sia riformulando il concetto di «Divenire» in modo sempre più coerente al proprio significato originario. Appunto per questo il «Divenire» ha cessato di essere oggettività esterna  e si è via via presentato come fenomeno, soggettività, esperienza, linguaggio, interpretazione. Filosofia e Scienza sono oggi profondamente solidali, e la Filosofia tende sempre più a presentarsi come una componente della «coscienza» che l’attività scientifica ha di se stessa. 
 

venerdì 7 marzo 2014

IL DIVENIRE: «EVIDENZA SUPREMA E ORIGINARIA»


La tradizione «Metafisica», dai Greci a Hegel, afferma che esiste un «Senso» definitivo (Immutabile, Assoluto, Divino) della totalità, perché ritiene che senza di esso il «Divenire» delle «Cose» (il loro uscire e ritornare nel «Niente») sarebbe impensabile. Dopo Hegel, ma anche sotto la spinta del pensiero hegeliano, diventa invece sempre più irriducibile la convinzione «Antimetafisica» che se esistesse un «Senso» definitivo e Immutabile della totalità dell’«Ente», il «Divenire» del mondo non potrebbe esistere. Il «Divenire», infatti, è innovazione, imprevedibilità, creatività libera da ogni vincolo: questi caratteri competono al «Divenire», proprio in quanto esso è inteso come l’ uscire delle «Cose» dal «Niente» (il pensiero Greco, non il Cristianesimo, evoca per primo il concetto di «Creazione»: il Cristianesimo lo applica anche alla «Materia» del mondo che per i Greci non può essere prodotta dall’azione di Dio. Ma se esiste un Dio (cioè un Senso definitivo della totalità degli Enti) l’ innovazione, l’ imprevedibilità, la libera creatività del «Divenire» risultano impensabili: tutto è già in Dio e non rimane più nulla da «produrre». 
Ma, a partire dai Greci e, daccapo, una volta per tutte, il «Divenire» è inteso come l’«Evidenza Suprema e Originaria». E’ quindi sul fondamento di questa «Evidenza» che il sapere filosofico degli ultimi 150 anni ha negato in modo sempre più perentorio l’ esistenza di un qualsiasi «Senso» definitivo e Immutabile della totalità dell’«Ente», e quindi è giunto a negare anche l’esistenza di ogni «Unità» che pretenda raccogliere in se stessa l’infinita e diveniente molteplicità delle «Cose». L’«Unità» che rende gli «Enti» parti del «Tutto» è l’ Unità in cui consiste il «Senso» definitivo del «Tutto» (tale «Senso» è appunto unitario), si che l’«Unità» del «Tutto» (l’Unità senza di cui il concetto di «totalità» è impensabile) rende impossibile l’innovazione imprevedibile e la libera creatività del «Divenire». 
Appare, da quanto si sta dicendo, che il «Senso» greco dell’«Esser-Cosa» non solo determina il «Tramonto» della comprensione «Metafisica» del «Senso» definitivo della totalità e il progressivo affermarsi della specializzazione Scientifico-Tecnologica, ma, prima ancora,  nell’ ambito stesso del sapere filosofico, determina il passaggio dalla forma «Metafisica» alla forma Antimetafisica di tale sapere, il rifiuto sempre più deciso di ogni «Senso» definitivo e unitario della totalità, la negazione di ogni dimensione, forma, struttura Immutabile che pretenda esistere accanto, all’ interno o al di sopra della realtà diveniente. 
Gli Immutabili sono il Dio della tradizione Metafisico -Teologica e dell’ Immanentismo moderno, le leggi della natura, l’ anima immortale dell’ uomo, l’autorità del padrone, del monarca, dello Stato, la razionalità dialettica della storia, la stabilità, identità e sostanzialità degli oggetti, le Leggi della società e dell’ economia concepite, appunto, come leggi naturali eterne, i valori della Morale e i principi della «Fede» cristiana, le gerarchie sociali ed economiche e gli ordinamenti politici connessi, il diritto e il bello naturali, l’ organizzazione totalizzante dell’esistenza attorno a un «Principio Assoluto» come l’ordine divino del mondo, o il mercato libero, o la società senza classi. 
Ma l’Immutabile, all’interno del quale tutti gli altri vengono evocati e ricevono legittimità, è l’«Epistéme», cioè la «Volontà» di conoscere incontrovertibilmente e definitivamente la realtà e le forme in cui tale «Volontà» si esprime: la «Verità definitiva», i «Principi primi», il «Fondamento», il «Centro» e l’«Unità» del sapere. La distruzione delle forme immutabili non determina quindi soltanto l’abbandono della tradizione «Metafisica» e il trionfo dell’Antimetafisicismo filosofico e della specializzazione Scientifico-Tecnologica, ma anche il superamento del modo di vivere tradizionale della Società Europea. 
La Civiltà della «Tecnica», in cui confluisce questo complesso sviluppo, è l’organizzazione della vita umana, dove il «Senso» greco della «Cosa» e del «Divenire» si libera radicalmente da ciò che lo soffoca  e lo rende impensabile. Sin dall’inizio della nostra Civiltà, tale «Senso» è sentito infatti come l’«Evidenza Suprema e Supremamente Indiscutibile». La liberazione dell’uomo moderno è essenzialmente la liberazione dagli «Immutabili» attorno ai quali è andata costituendosi la tradizione europea. 
Prima dei Greci, in tutte le grandi Civiltà dell’Oriente, l’opposizione infinita dell’«Essere e del Niente» rimane nell’ombra. Rimane quindi nell’ombra anche il «Senso» radicale della nascita e della morte (quello per cui nascere è uscire dal «Niente» e morte è il ritornarvi) e il «Divenire» è l’«Unità» dell’«Essere e del Niente». Ciò significa che con i Greci l’uomo incomincia a nascere, a morire, a produrre e a distruggere in un modo radicalmente nuovo, che oggi si è diffuso su tutta la «Terra», soppiantando ogni altra forma di esistenza.   

IL TRAMONTO DELLA FILOSOFIA NELLA SCIENZA E NELLA TECNICA


La Scienza oggi intende essere la forma autentica del sapere umano e quindi la pietra di paragone cui debbono commisurarsi tutte le altre forme di conoscenza e innanzitutto la Filosofia. Inoltre, la Scienza si presenta come la guida più affidabile nelle decisioni che l’ uomo deve prendere e come lo strumento più efficace per risolvere i problemi sempre più complessi della vita. La Scienza ha ereditato il peso e la posizione centrale che la Filosofia possedeva nella cultura europea del passato. 
L’ «agire umano», a sua volta, diventa sempre più specialistico quanto più esso è guidato dalla Scienza. La logica della Scienza è ormai adottata dalle grandi forze mondiali. Stati Uniti e Unione Sovietica (Vedi pubbl. dicembre 2013) «Mondo Capitalistico e Comunista» sono ormai gigantesche strutture di amministrazione «Scientifico-Tecnologica» della terra, il cui «Dominio» è tanto più efficace quanto più esse considerano gli oggetti e gli eventi come campi isolati. 
La nostra cultura è indubbiamente consapevole della progressiva specializzazione del «conoscere» e dell’«agire», dove, in nome della Scienza, la Filosofia viene sempre più radicalmente «emarginata». Ciò che invece la nostra cultura non riesce a scorgere è il carattere profondamente, essenzialmente filosofico dell’ «emarginazione» della Filosofia. 
Il Tramonto della Filosofia nella Scienza è un’ avventura della Filosofia: non avviene lasciando alle proprie spalle la dimensione che la Filosofia, sin dal suo inizio, ha portato alla luce, ma  Avviene all’ «Interno» di questa dimensione. Tale dimensione è il «Senso» che il pensiero greco attribuisce all’«Esser-Cosa» delle «Cose» del mondo. 
A partire dai Greci, una «Cosa» è ciò che oscilla tra L’«Essere e il Niente». Una «Cosa» è ciò-che-è, ma che non era (era «Niente», tutta o in parte) e tornerà a «Non Essere». Appunto per questa sua relazione all’«Essere e al Niente», i Greci chiamano «Ente» la «Cosa». L’«Ente» è ciò che «Diviene». Per l’ intera tradizione filosofica, infatti, L’«Ente» Immutabile, Ingenerato, Imperituro, Eterno, (l’ Ente che non esce dal «Niente» e non vi ritorna) è «Eterno» non per il fatto di essere un «Ente» (in quanto l’ Immutabile è un «Ente», secondo la nostra cultura potrebbe Divenire, nascere e morire), ma perché è un certo «Ente» che possiede una struttura privilegiata rispetto a tutte le «Cose» che escono dal «Niente» e vi ritornano. 
Il «Senso» greco della «Cosa» è lo spazio in cui cresce l’ intera Civiltà Occidentale. L’ estrema capacità di «Dominio», che compete alla nostra Civiltà, è fondata sulla persuasione che le «Cose» non sono indissolubilmente legate né all’ «Essere» né al «Niente», e che quindi è possibile agire su di esse, cioè guidare e controllare la loro oscillazione tra l’ «Essere e il Niente». La «Potenza» della nostra Civiltà supera ogni altra «Potenza», perché guida un’ oscillazione la cui ampiezza è infinita, cioè riesce a percorrere l’ infinita distanza che separa ciò che è dal «Niente». 
Dio , il primo Tecnico, crea il mondo dal «Nulla» e può risospingerlo nel «Nulla». La «Tecnica», l’ ultimo Dio, ricrea il mondo e ha la possibilità di annientarlo. 
Ma il Tramonto della Filosofia nella «Scienza e nella Tecnica» ha un carattere essenzialmente filosofico, non solo perché la Civiltà della «Scienza e della Tecnica» è il modo con cui oggi domina il «Senso» greco della «Cosa», ma perché è proprio questo «Senso» a condurre inevitabilmente alla specializzazione del «conoscere» e dell’ «agire». Infatti, se le parti del mondo escono dal «Niente» e vi ritornano, esistono, ma sarebbero potute rimanere un «Niente», ognuna di esse si trova in una relazione «accidentale» con le altre. Ciò che esce dal «Niente» non può avere alcun legame indissolubile con ciò che già esiste: sopraggiunge, non avendo stretto in precedenza alcun patto col già esistente, non avendo in vista alcunché, non avendo di per se stesso alcuno scopo; essendo dunque qualcosa di semplicemente giustapposto e quindi di assolutamente isolato dal contesto in cui viene a trovarsi. L’ «agire» è quindi completamente libero di assegnarli qualsiasi scopo, lo può manipolare senza limiti, come avviene ad esempio nei progetti dell’ «Ingegneria Genetica» e in generale nel progetto tecnologico di «Dominio» di qualsiasi aspetto del mondo. 
Il «Senso» greco della «Cosa» sta al fondamento della persuasione, dominante nella cultura contemporanea, che il mondo sia un aggregato di parti isolate, la cui conoscenza è quindi ottenuta da una specializzazione sempre più rigorosa del sapere. La Scienza, in quanto sapere specialistico, si fonda sul «Senso» che l’ «Ontologia» greca ha assegnato una volta per tutte all’«Esser-Cosa» delle «Cose», e d’altra parte la Scienza è incompatibile con quella conoscenza filosofica della totalità degli «Enti» che, daccapo, è stato proprio il pensiero greco a portare per la prima volta alla luce. 
La Filosofia, nascendo, si presenta come «Epistéme» (Sapere Incontrovertibile) solo in quanto intende cogliere il «Senso» definitivo della totalità dell’«Ente». La conoscenza di una parte della realtà, infatti, non può essere una «Verità Definitiva e Incontrovertibile», perché la conoscenza di ciò che sta oltre la parte potrebbe metterla in una luce diversa, conferirle un «Senso» diverso da quello inizialmente posseduto.